Intervista

Ci racconti un po’ di lei e del suo approccio al mondo della scrittura.
Ogni mio romanzo include un insegnamento che mi è stato elargito dalla vita e che si racchiude sinteticamente nel titolo e si potenzia nel sottotitolo dell’opera, che in seguito viene sviluppato nella trama dell’opera stessa.

Non mi erigo ad insegnante di vita, assolutamente, ecco perché non scrivo saggi, non sono né una psicologa né un maestro spirituale, il mio intento è di trasmetterlo mediante la raffigurazione di storie immaginarie, semplici ma emozionali, che risultino gradevoli e pulite, e che diano letizia per continuare a sognare.
Ciò non toglie, comunque, che numerose esperienze vitali rappresentate in queste storie, non sono il frutto di pura invenzione, sono state vissute direttamente, nel mio reale percorso esistenziale, naturalmente rivisitate, e in genere soltanto il teatro di sfondo è immaginario.
E inoltre, associo alla scrittura la mia professione di grafico pubblicitario, la quale mi favorisce nell’elaborazione delle copertine, le realizzo io per poter rendere, nel visivo, il messaggio integrale.
Nei miei romanzi non vi è una dettagliata rappresentazione estetica e architettonica dei luoghi, lascio molto più spazio alle riflessioni dei personaggi, poiché quel che sostanzialmente m’interessa è di entrare nello spirito del personaggio stesso, preferisco disegnare ogni protagonista nel particolare, un individuo comune nelle sue fantasie e nelle sue congetture, nelle sue ansie e nelle sue paure, piuttosto che il luogo in cui si dispiegano le sue vicissitudini, perché solo in questo modo riesco ad entrare in lui, viverlo e vivere con lui, trasmettere la sua essenza e di conseguenza anche la mia. Voglio descrivere l’anima, non il posto in cui vaga.

Quando e perché ha iniziato a scrivere?
Già al sedicesimo anno di età avevo intenzione di esordire come scrittore, in quanto adoro scrivere e al contempo adoro la lingua italiana, ma gli eventi della mia esistenza, vari crocevia in cui mi sono imbattuta, mi hanno condotta ad operare in altri settori, a scrivere nel silenzio, scrivere per me, per ritagliarmi uno spazio fantastico dove poter provare emozioni pure, forse incontaminate, cose che nella realtà di tutti i giorni sono ben difficili da trovare.

Non mi sono mai definita un autore, un narratore fuori campo, bensì una protagonista delle mie storie, le ho vissute nello stesso momento in cui le ho scritte, ho vissuto, gioito e sofferto insieme ai miei personaggi.

In termini umani, cosa significa per lei scrivere?
Dare, puro e semplice.


Quali sono i suoi libri del cuore?
In linea di massima sono una persona sentimentale, quindi tendenzialmente mi piace dilettarmi nel genere di lettura romanzesco, le classiche storie d’amore, pur nonostante i miei interessi letterari si estendono ad ogni tipo di contenuto, sempre qualitativamente distinto, dalle letture degli scrittori classici greci con le loro massime intramontabili, alla narrativa degli scrittori dell’800 di cui adoro lo stile. Mi affascina la psicologia di Jung e Fromm, e di frequente mi dedico alle letture per così dire, esoteriche, sulle misteriose energie dello spirito e sulla reincarnazione, nel caso specifico Carlos Castaneda è il mio autore preferito.

Mi annoiano i thriller e i libri dove c’è azione e poca riflessione, nessuna introspezione, questo genere di storie lo vedo solamente al cinema.

Qual è il rapporto con la sua regione e con la sua terra?
Io non ho una terra, né una regione, sono cittadina del mondo, mi sento una cittadina del mondo, ed è forse anche dovuto alle mie origini, dato che sono belga, mia madre è italiana e mio padre è polacco, per cui mi trovo bene ovunque, e con chiunque.

L’unico aspetto che non condivido è l’ignoranza di vita, la mentalità ristretta e sindacante, i facili giudizi talora deleteri, elaborati oltretutto per il puro gusto del ciarlare, spesso senza basi né effettive conoscenze del soggetto preso come bersaglio.

Cosa le piace e cosa non le piace dell’editoria odierna italiana?
La commercializzazione, la preferenza indirizzata a scrittori per fama o per ritorno di concessioni, di mera liquidità, non lasciando spazio ad artisti che sono artisti. Non mi piace che si prediliga il denaro come primo criterio sostanziale, l’aver perso il senso dell’opera come veicolo umano, ciò che rappresenta, ciò che dà.

Personalmente non stimo gli autori che scrivono per vendere, io non intendo vivere di questo, cioè, che diventi un lavoro vero e proprio, primario, con cui potermi materialmente sostentare, perché inquinerebbe le basi per cui scrivo.
La motivazione originaria che mi spinge a divulgare le mie storie, è di dare qualcosa di me che possa risultare utile e piacevole, di emozionante, altrimenti non avrei mai deciso di pubblicarle, le avrei tenute per me, avrei seguitato a donare unicamente a me stessa, nel silenzio.
Quel che amo, invece, è la lingua italiana nella sua trascrizione, come viene redatto e pubblicato il testo, per intenderci la formattazione, le regole d’impaginazione, che sono sì, complesse, talvolta arzigogolate, ma rendono vivo il manoscritto, e in aggiunta è anche più bello da vedere, esteticamente parlando.
Per esempio, sto traducendo SENZA PAROLE in francese (Sans rien dire), la mia lingua madre che apprezzo parimenti nella sua melodiosità, tuttavia le regole sono differenti, anche il sistema d’impaginare i dialoghi che non concede elasticità, non chiude la conversazione con le virgolette bensì con una semplice virgola, per cui non si può far risaltare lo stato d’animo del personaggio, crea confusione perché in qualche modo li lega ma nello stesso tempo li disperde, non crea la cadenza, l’armonia, la facilità di comprensione. Sotto questo aspetto quindi, nel paradosso, è più semplice scrivere in italiano.

Cosa le piace e cosa non le piace del panorama culturale italiano d’oggi?
Che non si legge, e non per la solita retorica della necessità dell’acculturarsi, ma perché non si vive più di fantasia personale, per me una componente fondamentale dell’animo umano, eroga energie e speranze, l’illusione ci solleva dalla quotidianità, dalla normalità, dal sentirci tutti uguali, dalla materialità e la ripetitività della nostra esistenza, dalle cose che non possono accadere, l’apatia, la delusione.

Molti vivono e si cibano di queste fantasie mediante la cinematografia, ma un film è visivo, non concede alla mente di personalizzare una storia, è tutta lì, mostrata, comoda, non stimola la mente, ecco perché adoro i libri o perché non descrivo nel particolare i luoghi nei miei romanzi, proprio per consentire al lettore di renderla personale, privata, di scegliere nella sua mente il posto a suo piacimento, visualizzarlo, vederlo come più gli è gradito, come una cornice a misura e dunque per esaltare le sue sensazioni individuali. Solo il personaggio è inquadrato, descritto nella sua totalità e nelle sue sfaccettature, talvolta fin troppo minuziosamente, dato che in esso è racchiuso il senso, attraverso di lui si espleta il messaggio dell’opera.

Come è arrivato alla pubblicazione del suo lavoro?
Per desiderio di condividere le emozioni che ricevo, sia nella scrittura che nella lettura delle mie narrazioni, per trasfonderle anche agli altri, ed ho compiuto questo passo probabilmente perché la maturità, la sicurezza conseguita negli anni, il bagaglio di esperienze e di insegnamenti acquisito, mi ha permesso di esporre me stessa, di mettermi in gioco senza paura e chissà, forse anche rimettermi in discussione, iniziare una nuova crescita, o meglio, una nuova nascita. Credo di essere nata per questo, finalmente ho trovato, anzi, ho riconosciuto la mia strada.


Cinema: qual è il suo film preferito?
Il gladiatore, adoro i suoi occhi.


Musica: la canzone del cuore?
Senza Parole di Vasco Rossi, ma non per questo motivo il titolo del mio primo romanzo pubblicato, è il medesimo. Il senso di quella canzone è completamente diverso da quello del romanzo, pur essendo entrambi significativi per me. Sono solo parole…


Ha frequentato corsi di scrittura creativa?
No, e onestamente non ci ho mai pensato.


Ritiene siano utili?
La migliore scuola creativa è la vita, a parte il talento, naturalmente, imparare a scrivere è importante, ma solo ai fini grammaticali, di sintassi, di strutturazione dei paragrafi o l’applicazione delle regole della scrittura, perché a mio avviso lo stile non si apprende, c’è, può essere affinato, migliorato, ma non creato.

Personalmente, alcuni termini che adotto nella scrittura non sono di uso comune della letteratura contemporanea e talora risultano impropri nel significato, soprattutto nei dialoghi dei personaggi. In alcuni passi impiego una terminologia poco attinente al nostro tempo, o in taluni casi perfino errata, pur tuttavia ritengo che, benché i termini usati in maniera inesatta possano essere ritenuti errori, bisogna considerare anche la licenza letteraria, poter adattare la lingua al proprio essere, chiaramente nei limiti, e francamente preferisco leggere un romanzo in cui ci si sbizzarrisca con vocaboli anche insoliti e un po’ impropri, che però possano divenire ironici e singolari, che diano colore, anziché un romanzo scritto in modo tradizionale e piatto, che sinceramente non mi trasmette né emozioni, né calore, né divertimento.
Il mio stile è miscelato tra presente e passato, non intendo impiegare uno stile usuale, imposto, voglio conservare la mia individualità creativa, non per vanto, ma unicamente perché nel rileggere le mie narrazioni desidero ricevere emozioni, ed è questo per me l’aspetto più importante, fondamentale, ovverosia di non ridurre i miei romanzi a dei semplici oggetti commerciali, ma utilizzarli come veicolo umano per comunicare agli altri ciò che ho dentro.

Quale ritiene sia l’aspetto più complesso della scrittura narrativa?
Il tempo. È l’unico limite, almeno per ciò che riguarda me, dacché l’opera ha bisogno di essere seguita, forse coccolata, al fine di donarle integrale vita, musica e colore, calore, ma per gradi, perché anch’essa come l’animo umano, deve seguire dei passi, rispettare determinate fasi vitali attraverso cui si migliora, si perfeziona.

Ciò in conclusione conduce a rendere la storia lineare, comprensibile, non nella terminologia, nella semplicità dei vocaboli, ma nelle emozioni e nell’armonia, nella pulizia, diventano le più dirette possibile, di facile, naturale percezione, semplici, esattamente come sono le emozioni nel vero senso del termine.

Come scrive: su carta o al computer? Di giorno o di notte? In solitudine o fra altre persone? Segue “riti” particolari?
Scrivo ovunque, in ogni momento e su qualsiasi supporto, quando la mia mente spinge e non posso arrestarla. Non sono mai sola, siamo io e lei, e lo eseguo soltanto con lei, ma il cuore ascolta e decide.

«Per scrivere occorrono semplicemente tre cose: mani, occhi e cuore.» Con queste parole ho rassicurato la protagonista di uno dei miei romanzi, si sentiva incapace, inferiore dinanzi a grandi scrittori di prestigio e di talento, che possedevano padronanza e dimestichezza della parola, tuttavia l’ho indotta a comprendere che se lei non era perfetta come scrittrice, aveva il cuore, donava se stessa nella scrittura, sapeva osservare, vivere, quindi la base c’era, doveva solo affinare la tecnica, un difetto non arduo da superare, da colmare, ma se non c’è cuore, passione, amore, il tutto si riduce ad una fredda ed asettica commercializzazione destinata a morire, cosa che a lei non succederà.

Come è nata in lei l’idea di raccontare quel che ha raccontato nel suo libro più recente?
Il come non lo so, le mie storie nascono e basta, m’invadono e le riverso su carta, senza pensare, senza programmare, la storia parte da sola e finisce da sola, io sono solamente l’interprete, il tramite attraverso il quale la storia può materializzarsi sulla carta. È un input, mi è sufficiente una frase o un’immagine per scatenare la mia immaginazione, e il più delle volte non riesco a starle dietro, mi accade addirittura che mentre scrivo una storia, la mia mente ne partorisce un’altra, quasi di prepotenza, e per trattenerla, per non perderla, sono costretta ad abbandonare il romanzo attuale per memorizzare immediatamente l’altro.

Alle volte è una fatica, infatti mi è successo di desiderare, ridendoci anche su con me stessa, di avere una mente che funzioni come un computer, che possa registrare e salvare i miei pensieri prima che volino via.

Cosa significa per lei raccontare una storia?
Io non racconto una storia, la vivo.


Preferisce cimentarsi col racconto o col romanzo?
Solo romanzi, fermo restando che non mi “cimento”, non mi impegno a creare, la creazione viene da sé, e a parer mio deve venire da sé, basta poi avere i mezzi con cui poterla concretizzare, certo, è necessaria una conoscenza della lingua, la tecnica, ma queste cose s’imparano con il tempo, con l’esperienza, anche semplicemente leggendo.

Diciamo che da questo punto di vista mi sento avvantaggiata perché, come precedentemente specificato, la lingua italiana è una mia passione, adoro la sua musicalità, mi piace imparare parole nuove, e di tanto in tanto sfoglio il dizionario, così, per fame di conoscenza.

Ci dia una sua definizione dell’uno e dell’altro?
Il racconto non lo colloco, non lo considero, per brevità e scarsità, non si può trasmettere in poche pagine ciò che invece nel romanzo si può espandere, in quel caso non ci si può immergere ed assimilare, metabolizzare le sensazioni, ci si ferma lì, quando magari la mente sta per carburare, il cuore sta per entrare.

In pratica finisce troppo presto, non si crea affezione, simbiosi, comparazione con se stessi, non si impara. Il racconto è crudezza, il romanzo è calore.

Come ha scelto il titolo del suo libro più recente?
Anche per quanto riguarda i titoli ed i sottotitoli, la mia non è una scelta razionale, ponderata, nasce spontaneamente da una frase del romanzo o semplicemente dal messaggio insito in esso, e senza tempi prestabiliti, può emergere già dalla stesura del primo capitolo, o addirittura dopo mesi, quando sono impegnata nella sua revisione. A volte si nasconde, non si manifesta, ha bisogno di tempo per essere integralmente sviscerato.


Quanto tempo ha impiegato per scriverlo?
Dieci giorni, in media è questo il tempo che mi occorre per scrivere una narrazione, invece per le revisioni ci vogliono poi dei mesi, leggo e rileggo finché il manoscritto non diventa perfetto, anzi, quasi perfetto, dato che la perfezione non esiste.
Ognuno di noi ha i propri difetti e le proprie mancanze, nessun uomo è perfetto e pertanto non può esserlo nemmeno il prodotto del suo ingegno. Ciò che temo è che non si riesca a carpirne il senso, cosa voglio trasmettere, quel che vi è custodito, o peggio ancora che venga valutato in superficie, ovvero come una semplice storia d’amore irreale o esageratamente romantica, un mero sogno ad occhi aperti.

Aprile 2008 - su libriescrittori.com